La guerra come apocalisse. Interpretazioni, disvelamenti, paure - LVI Settimana di studio

FBK Aula Grande

Fondazione Bruno Kessler - Polo delle Scienze Umane e sociali

Ante 1914, la letteratura “profetica” sul prossimo avvento di un cataclisma armato che avrebbe sconvolto gli assetti politici e sociali faceva il paio con la diffusa attesa di un grande conflitto che avrebbe rigenerato le stanche società europee, applicando alla storia delle nazioni gli assunti di massima del darwinismo sociale. Non sorprende allora che, quando scoppiò, la guerra fosse diffusamente percepita come un’apocalisse, nel bene e nel male. La guerra fu il suicidio terminale della migliore delle civiltà possibili, come avrebbe scritto Freud, la fine dell’«età d’oro della sicurezza», secondo il romanziere Stefan Zweig, che nello sgretolamento della civiltà europea del 1914 vedeva la matrice del mondo totalitario che l’avrebbe costretto, lui ebreo cosmopolita, all’esilio dalla sua Vienna, o la straordinaria occasione di inizio di una nuova era, secondo gli entusiastici slogan di una vasta galassia di pubblicisti, artisti, giovani. In molti di costoro, peraltro, la realtà della guerra fece rapidamente aggio sul discorso o l’immaginario della guerra: diversi, tra gli intellettuali e gli artisti che assaporarono l’esperienza del fronte, sperimentarono una profonda disillusione che portò alcuni (tra quelli che sopravvissero) a convertirsi su posizioni radicalmente pacifiste, o rivoluzionarie.

La dimensione palingenetica della grande guerra intrecciò inevitabilmente le attese rivoluzionarie, e per certi versi le amplificò. Lo fece in modo palese, creando le condizioni per il rovesciamento dei regimi esistenti, come nell’impero zarista del 1917, ma anche elaborando modelli di organizzazione che vennero letti come anticipazioni di un’inevitabile evoluzione del rapporto tra potere, economia e collettività. La concentrazione sullo sforzo bellico e la necessità di consolidare gli apparati pubblici per governare e gestore produzione industriale, commercio e risorse umane, condusse ovunque ad un salto nei processi di statalizzazione, come emerse nettamente nel “socialismo di guerra” in Germania. Come avrebbe notato Bucharin «la guerra sollevò di colpo il problema del potere statale». La guerra fu l’occasione e la matrice per la rivoluzione, ma anche il laboratorio di nuove concezioni dello stato.

La guerra come apocalisse fu dunque una pratica discorsiva straordinariamente diffusa tra chi la guerra la invocò, e tra coloro che partirono per viverla. Fu, naturalmente, al centro del discorso religioso del 1914-1918 (della Chiesa cattolica, che sul tema della guerra giusta o inutile rivelò la sua natura composita, come delle chiese protestanti) e fu un efficace atout retorico nel vocabolario delle classi dirigenti e degli esponenti di movimenti politici di più diversa ispirazione.

Il convegno ha come scopo di:

– storicizzare e relativizzare la lettura apocalittica della Grande Guerra, individuandone le genealogie concettuali, gli antecedenti mediatici e i limiti, adottando per questo una prospettiva globale (non esclusivamente italo- né eurocentrica) che consenta di evidenziare anche narrazioni della guerra in contesti culturali (come quello islamico) in cui la categoria di apocalisse è assente

– evidenziare le declinazioni della visione apocalittica del 1914-1918 nei diversi linguaggi (letterario, artistico visivo, religioso, politico)

– analizzare criticamente le accezioni della guerra come apocalisse (cataclisma terminale, inizio di una nuova era, occasione rivoluzionaria, adempimento delle missioni nazionali, lotta per la sopravvivenza, crociata contro il male)

– comparare i diversi casi nazionali e tracciare le coniugazioni dell’apocalisse a nei differenti contesti culturali

 

Coordinamento scientifico
Gustavo Corni | Trento
Oliver Janz | Freie Universität Berlin
Marco Mondini | FBK-Isig

 

Convegno organizzato nell’ambito del Progetto “La prima guerra mondiale 1941-1918” Realizzato con il contributo della Provincia Autonoma di Trento

 

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